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LA NARRAZIONE STORICA                    

 

Per diventare i padroni del mercato mediterraneo, i greci diedero prova di un’audacia e di una perseveranza impareggiabili. Dopo la scomparsa delle flotte minoica e micenea, l’Egeo era infestato di bande di pirati: per lungo tempo solo i sidoniani osarono avventurarvisi. I greci finirono quindi con il liberarsi di questa piaga: diedero la caccia agli schiumatori delle coste, che dovettero trasferire nell’Adriatico il principale il principale teatro delle loro imprese. Quanto ai fenici che avevano fatto avvantaggiare i greci della loro esperienza e avevano insegnato loro l’utilità commerciale della scrittura, essi furono respinti dalle coste dello Ionio e scacciati dalle peschiere di porpora egiziane; trovarono dei concorrenti a Cipro e persino nella loro città. Volsero allora i loro sguardi verso l’Ovest; ma anche lì i greci, istallatisi ben presto in Sicilia, separarono dalle metropoli orientale le colonie fenicie della Spagna e dell’Africa. Tra l’ariano e il semita, la lotta commerciale sui mari dell’occidente doveva cessare solo con la caduta di Cartagine.

Quando Solone ebbe compiuto la sua missione, fece giurare ai nuovi arconti e a tutti i cittadini di conformarsi alle sue leggi, giuramento da allora in avanti prestato tutti gli anni dagli ateniesi promossi alla maggiore età civile. Per prevenire le lotte intestine e le rivoluzioni, egli aveva prescritto a tutti i membri della città, come obbligo in cambio dei loro diritti, di schierarsi in caso di torbidi in uno dei partiti opposti, pena l’atimia che comportava l’esclusione dalla comunità: sperava che uscendo dalla neutralità gli uomini esenti da passione avrebbero costituito una maggioranza in grado di contrastare i perturbatori della pace pubblica. I timori erano esatti; le precauzioni furono vane. Solone non aveva soddisfatto né i ricchi né la massa dei poveri e diceva con tristezza: “Quando si fanno grandi cose, è difficile piacere a tutti.” Ancora arconte, era tempestato dalle invettive degli scontenti; quando ebbe lasciato la carica, fu uno scatenarsi di rimproveri e di accuse. Solone si difese, come sempre, con dei versi: è allora che chiamò a testimone la Madre Terra. Lo si subissava di insulti e di scherni perché “gli era mancato il coraggio” per farsi tiranno, perché non aveva voluto, “per essere il padrone di Atene, non fosse che per un giorno, che si facesse un otre della sua pelle scorticata e che la sua stirpe fosse cancellata”. Circondato di nemici, ma deciso a non cambiare niente di quanto aveva fatto, forse anche credendo che la sua assenza avrebbe calmato gli animi, decise di abbandonare Atene. Viaggiò, si fece vedere a Cipro, andò in Egitto a ritemprarsi alle fonti della saggezza. Quando tornò, la lotta fra le fazioni era più viva che mai. SI ritirò dalla vita pubblica e si rinchiuse in un inquieto riposo: “invecchiava imparando sempre e molto”, senza cessare di tendere l’orecchio ai rumori dell’esterno e di prodigarsi in avvertimenti di un patriottismo preoccupato. Ma Solone non era che un uomo; non era in suo potere arrestare il corso degli eventi. Visse abbastanza per assistere alla rovine della costituzione che credeva di avere consolidata e vide spandersi sulla sua cara città la cupa ombra della tirannia.

Dopo un giro di galleria, il giovane guardò uno dopo l’altro il cielo e il suo orologio, fece un gesto di impazienza, entrò in una tabaccheria, vi accese un sigaro, si mise davanti a uno specchio, e diede un’occhiata al suo vestito, un po’ più ricco di quanto permettessero in Francia le norme del buon gusto. Mise a posto il collo e il panciotto di velluto nero, attraversato più volte da una di quelle grosse catene d’oro fabbricate a Genova; poi, dopo aver lanciato con uno solo movimento sulla sua spalla sinistra il mantello foderato di velluto drappeggiandolo con eleganza, riprese la sua passeggiata senza lasciarsi distrarre dalle occhiate borghesi che riceveva. Quando i negozi cominciarono a illuminarsi e la notte gli parve abbastanza scura, si diresse verso la piazza del Palazzo Reale con l’atteggiamento di chi teme di essere riconosciuto; infatti costeggiò la piazza sino alla fontana, per raggiungere l’imbocco di via Froidmanteau al riparo al riparo dalle fiaccole...

(cit. da: Benveniste, E., 1966, Problèmes de linguistique génèrale, Paris, Gallimard; trad. it. Problemi di linguistica generale, Milano, Il Saggiatore, 1971, pp. 298-299).