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Il videoclip. Ricostruzione di un dibattito in corso                                 (2/3)

Una prima tipologia dei videoclip è quella proposta da Arnold S. Wolfe (1983) che distingue tra performance clips, videoclip in cui viene messa in scena la performance dell'artista/band e concept videos, video caratterizzati dalla messa in scena di una breve storia.
Joan D. Lynch (1984) propone una classificazione dei videoclip in performance clip, narratives, antinarratives.
Ancora, John A. Walker evidenzia come:

Per quanto non sia possibile tracciare rigide linee di demarcazione, si possono distinguere due tipi di video musicali, quelli dal 'vivo' e quelli 'a soggetto'.
I video dal vivo mostrano la pop star o il gruppo mentre suona, sul palco o in studio, limitandosi a registrare gli eventi.
I video a soggetto sono incentrati su un'idea o un tema e presentano una concezione olistica di suono e immagine, mirano cioè a una loro sintesi. Quando simili tentativi riescono, producono nuove contaminazioni artistiche. (Walker, 1987, p. 146 trad. it)

A questo proposito, analizzando il panorama attuale degli studi sui videoclip è interessante rilevare come a tutt'oggi se ne propongano nuove classificazioni che, pur caratterizzate dall'introduzione di nuove categorie e dalla possibilità di una loro aggregazione, si basano tuttavia sulla stessa matrice.
Gianni Sibilla (1999, 30) sostiene che da un punto di vista formale è possibile individuare tre tipologie generali di testi, la performance, il narrativo e il concettuale.
Questi tre generi non sarebbero mai impiegati nelle loro forme "pure", piuttosto andrebbero considerati come macro codici di rappresentazione, modelli flessibili di riferimento da cui sviluppare videoclip differenti.
Ancora, Sven E Carlsson (1999) isola tre forme pure di tradizione visiva dei videoclip, performance clip, narrative clip, art clip.
L'autore sostiene che i videoclip sono il risultato dell'ibridazione di tre modi tradizionali di impiegare le immagini in movimento: la performance canora, la narrazione visiva, la non-narratività dell'arte moderna.
La sintesi di queste tradizioni rende possibile la costruzione dello standard clip: un video caratterizzato da una struttura flessibile, in grado di assumere forme espressive molteplici.
Questi approcci all'analisi dei videoclip pur differenziandosi relativamente alla definizione del corpus testuale e alla metodologia impiegata, convergono tuttavia nell'individuare nell'ibridazione delle forme espressive una peculiarità di queste forme brevi:

In particolare la sempre più rapida connessione creatività-tecnologia, con 'mode' musicali destinate ad evolversi in tempi brevissimi, hanno dato vita ad una sorta di tessuto mobile, non schematizzabile in categorie (Beatrice, 2000, p. 18-19).

Questa convergenza tuttavia si accompagna alla messa a fuoco di un primo paradosso: a un'enorme visibilità dei testi si accompagna la difficoltà di individuarne i dispositivi di messa in scena, le strategie di funzionamento, le dinamiche interpretative. Il videoclip

sa intrufolarsi nel nostro campo d'attenzione subdolamente, senza la nostra deliberata volontà, e sa quindi impossessarsene con le sue irresistibili lusinghe audiovisive (Bartorelli, 1999, p. 21).

il videoclip si presenta come un'espressione eterogenea di immagini e suoni regolati da una logica iperbolica e ramificata, non sequenziale (Altavilla, 1999, p. 26).

Queste dichiarazioni sintetizzano perfettamente l'alone mitico costruito intorno ai video, ricondotti spesso a un vero e proprio genere audiovisivo autonomo, di cui viene inevitabilmente messa in evidenza la struttura testuale non lineare e lo straordinario potere seduttivo, risultato di un montaggio estremamente frammentato.

Forse è proprio per il suo essere puro flusso visivo reiterato senza inizio né fine, nella vertigine postmoderna del palinsesto televisivo, che il clip appare come un oggetto ontologicamente sfuggente. E' "leggero" per definizione e per destino, pur discendendo da un'antica tradizione di ricerca audiovisiva. […] Del resto, perché sta attraversando proprio oggi la sua âge d'or? Semplicemente per il fatto di essere perfettamente in linea con l'estetica ipertestuale, che ci costringe a ripensare in modo nuovo l'immagine in movimento, superando la logica narrativa, facendo a pezzi gli steccati tra discipline e generi, tra fiction e non-fiction. (Di Marino, 2001, p. 13)

Alcune posizioni sembrano negare a priori l'utilità di un'analisi testuale del videoclip e tracciano il profilo di una relazione tra testo e spettatore estremamente sbilanciata.

Il flusso vorticoso d'immagini di certi videoclip è così veloce e sfuggente che non ci permette di riconoscerle o di badare alle parole del testo (Altavilla, 1999, p. 26).

E' rivelatrice a questo proposito l'affermazione controcorrente di Franck Dupont:

Cos'è un videoclip? O piuttosto si dovrebbe dire cos'era, dal momento che l'originalità di numerose produzioni ha caratterizzato il fenomeno. Un continuum sonoro sul quale viene innestato il massimo di immagini o fotogrammi che tendono a eliminare la nozione di piano. Da allora si parla di montaggio 'stile-videoclip' ogni volta che un film o una sequenza ha la sfortuna di avere una durata più breve della media (Dupont, 1995, p. 109). (trad. it.)

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